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La Battaglia del Solstizio

mar 10 nov 15

Ripercorriamo gli eventi di quei giorni attraverso il libro di Monsignor Chimenton, il quale a sua volta citò Arnaldo Fraccaroli, che nella sua splendida monografia “La vittoria del Piave”, disse apertamente che una delle arterie principali, che doveva piombare su Treviso, seguì la strada Ponte di Piave-San Biagio di Callalta; ed osservò che la popolazione non si allontanò neppure in quei momenti dalle primissime linee: «Il 21 giugno, nelle prime ore del mattino, che si annunzia sfolgorante dopo il consueto acquazzone della notte, alcune pattuglie austriache si spingono sui margini della grande strada che da Ponte di Piave va a San Biagio di Callalta. Sono minuscoli reparti, gruppetti di una decina di uomini ciascuno, muniti di mitragliatrici. Sono venuti innanzi nella notte, strisciando tra i campi di grano, lungo i fossi, seguendo la mascheratura dei filari di vigne, nascosti dalla vegetazione superba di questa trionfante campagna trevigiana che si è continuato a coltivare fino alle trincee. E arrivano qui, quasi a San Biagio. Altri piccoli gruppi isolati si appuntano in direzione di Monastier. Di colpo vengono scoperti quando appaiono verso la strada: vengono scoperti da pattuglie nostre: e il crepitare della fucileria e delle mitragliatrici, martella improvviso accanto ai paesini, dove molti degli abitanti sono voluti restare, nuova magnifica milizia di fede e di resistenza. Gruppi di donne e di contadini stanno lavorando nei campi. Scaramucce esplodono intorno a loro: vuol dire che qualche nemico ha sorpassato i luoghi ove stanno. Questi contadini si riuniscono, non scappano: aspettano con ansia, ma con incrollabile fiducia. Le piccole pattuglie austriache che si erano in insinuate così addentro nelle nostre linee, sono attaccate, rincorse, distrutte e accalappiate. E la calma ritorna in questi paesini un po’ indietro della vera linea del fuoco. Ci avviciniamo allora a qualcuno di questi gruppi di donne e di contadini nei campi: --Non vi fa impressione? -- Oh no, signore: sappiamo che non passano ci sono i nostri soldati! -- E si rimettono al lavoro, interrotto un momento, con una fede che è un atto di semplice, grande eroismo. Così tutta l’Italia, in piedi, col cuore traboccante di tenerezza, di gratitudine, di orgoglio, può dire alla settima giornata della grande offensiva austriaca: --Non passano! Ci sono i nostri soldati!…… -- E a cavallo della strada, da Ponte di Piave a San Biagio di Callalta, le fluttuazioni dei combattenti della giornata si sono chiusi, nella notte, con la cacciata austriaca sulle posizioni di partenza».
Anche Luigi Gasparotto, con uno stile sempre pieno di vita e di entusiasmo, descrisse nel suo libro “Rapsodie (diario d’un fante)”, l’ultima lotta del 23 giugno presso Bocca Callalta, lotta che doveva respingere il nemico sulle posizioni di partenza, cioè a Stabiuzzo, Negrisia e Ponte di Piave: «23 giugno --Voci di disertori danno per certo che gli austriaci stanno arretrando la linea. Se ne vanno? Ma come si mettono le cose al Montello, donde nei giorni scorsi veniva la minaccia al nostro fianco? Mentre si fanno queste congetture, dal Comando dell’Armata giunge l’ordine di avanzata generale. Verso le Bocche di Callalta è un a correre affannoso di truppe. A villa Cucca si presenta un soldato, certo Zappa, fuggito agli austriaci. Era stato fasciato con bende nere di sudiciume e lasciato sei giorni senza mangiare. Sembra uno scheletro, ma è loquace; ha l’impressione che il nemico si ritiri. -- Ore 2 pomeridiane. Temporale imminente. Romba la nuvolaglia e il 305 austriaco da marina. Arriva di corsa il 4 Reggimento Bersaglieri; poi il quarto, il quinto e il dodicesimo battaglione ciclisti; arriva il colonnello Corselli, che ha lasciato lo Stato maggiore per comandare un gruppo di arditi. Nel passarmi appresso mi lancia un grido di festoso ammonimento: -- Anche lo Stato maggiore si batte! -- È vero, oggi tutti si battono. La grande strada della Callalta, al bivio di Fagarè, è formicolante di truppe; ogni reparto al suo posto, ogni ufficiale avanti ai suoi soldati, in attesa della voce di comando. L’imponente adunata ha qualche cosa di austero. Appena dato l’avanti! la folla riprende la corsa. Sembra che il vento ci porti verso il fiume. Rivediamo ad una ad una le vecchie e note case: villa Ninni, villa Maria, casa Venturi, trasfigurate dalla battaglia. La circostante campagna è devastata come se vi fosse passato il ciclone; la strada è ingombra di elmetti, di zaini, di fucili, di cose morte ed abbandonate. I morti sono ormai neri, come negri. Il ponticello sullo Zero è saltato, ma gli zappatori improvvisano una passerella con barre di legno. Qui il tiro nemico di sbarramento è infernale. Sotto la nuova procella si piegano, si schiantano gli alberi della strada; dai campi si levano trombe di fango. Passano i cavalleggeri Foggia al gran trotto, e noi ci aggrappiamo alle code dei cavalli, per volare con loro alla meta. Ritornano cavalli a briglia sciolta senza cavalieri, colle narici sbuffanti; tornano zoppicanti cavalli feriti, colla testa dondolante; passano barelle; lenta ma solenne segue la prima squadriglia delle auto blindate, colle macchine della morte. Piove e tuona. La tempesta degli shrapnel (proiettili per artiglieria il cui funzionamento è simile a quello delle bombe a mano) confonde e fonde in un urlo, solo e immenso, i multipli scossi: i due tuoni, dell’uragano e del cannone, rimbombano nello stesso cielo; ma Dio oggi è con noi. I fanti della Macerata attaccano l’argine da villa Covre; ma, a questo punto, i bersaglieri, cavalleggeri, ufficiali e soldati, rotti i ranghi e la disciplina, senza attendere ordini si gettano tutti con impeto sull’argine e sul gran terrapieno della ferrovia che conduce al ponte di ferro. Vedo il Generale Giampietro, col Capitano Fontana, a cavallo; gli austriaci dall’altra sponda innaffiano di pallottole le alte figure dei cavalieri che si profilano nel cielo. Avanti sempre! -- Avanti, ragazzi, -- si grida in tutti i dialetti d’Italia; -- Avanti!… -- . Ecco il ponte, i reticolati; giù per la discesa, fra i soldati urlanti -- L’Italia, Vittoria! -- Giù tutti, a balzi, a salti, a voli, superando morti, scansando reticolati, sfondando ricoveri, fino al margine di un fiume, sino a un’acqua, una grande acqua bionda: il Piave! Oh Piave! Oh Piave nostro, tormento e gioia della nostra anima, che tu sia benedetto! Sono le quattro; l’ora in cui l’Italia ha riveduto il suo Piave!»
Durante questo attacco in massa, nel corso del quale le linee del fronte ondeggiarono come un’alta marea, in un continuo alternarsi di rappresaglie e di rincalzi, la nostra artiglieria dovette bombardare senza sosta tutta la sponda sinistra del Piave. Delle varie frazioni che costituivano il Comune di Ponte, il capoluogo portò le conseguenze più gravi della guerra e della strage: il suo territorio fu martoriato ed il centro abitato già praticamente distrutto venne completamente raso al suolo.
Le azioni di quei giorni lasciarono sul terreno migliaia di morti da entrambe le parti, e per riempire i vuoti si dovette ricorrere agli “imboscati” nei comandi e negli uffici, avendo già chiamato alle armi la classe del 1899. Nonostante il tremendo sforzo fatto, al 25 giugno rimasero in mano agli austriaci solamente la linea dei Tre Monti sull’Altipiano d’Asiago, la prima linea sull’Asolone alle pendici del Grappa ed una piccola testa di ponte alle foci del Piave. Ma già il 30 giugno ripresero le operazioni dell’esercito italiano per la riconquista della linea del Tre Monti, mentre la terza armata continuò ad adoperarsi per ricacciare gli austriaci dalle foci del Piave. Le operazioni belliche si conclusero solamente il 7 luglio con pieno successo dell’esercito italiano sulla linea dei Tre Monti, con un ritiro dell’esercito austriaco dalla testa di ponte sulla sinistra Piave, che colse di sorpresa anche l’alto comando italiano, mentre pure sul Grappa si ebbe un riassetto del fronte, che vide rimanere agli invasori solamente una posizione sulla dorsale del monte Salarolo.

grande guerra

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news pubblicata il mar 10 nov 15